giovedì, giugno 28, 2007

Sorbetto d'ananas profumato alla menta

Me lo sono gustato in terrazza proprio pochi minuti fa...l'arietta frizzante e il mio vicino che suonava il sax hanno fatto il resto!!!
Buono, fresco e rilassante...è perfetto per le serate estive...magari corretto con un po di rum bianco o vodka!
Questo pomeriggio, durante una delle 1000 pause allo studio, ho preso un ananas e l'ho tagliato in quattro. Una fetta l'ho messa da parte, alle altre ho tolto la parte centrale più dura, le ho fatte a pezzetti e messe in freezer. Poi ho preparato uno sciroppo con acqua e zucchero e appena spento ho aggiunto delle foglioline di menta e lasciato in infusione per una mezz'oretta.

Questa sera ho frullato l'ananas congelato aggiungendo lentamente lo sciroppo...quando era cremoso al punto giusto l'ho versato nei bicchierini e guarnito con la fettina d'ananas e la menta rimasti.





Questa è la stessa foto ma è scattata senza flash...purtroppo è venuta mossa però come colori rende di più!

mercoledì, giugno 27, 2007

Il dott. Schwartzbaum e il perché del mangiare di....

Lo skyline notturno è quello di Rochester.
Si trova nella parte occidentale dello Stato di New York, questa graziosa cittadina sulle cascate, ed è pure gemellata con Caltanissetta.
In questa cittadina c’è un’Università.
In quell’Università, fino a qualche anno fa – perché ora s’è ritirato – insegnava e svolgeva attività di ricerca tal Ph. D. Jerome Schwartzbaum.
A pochi questo nome dirà qualcosa.
Studiava le attitudini alimentari da un punto di vista psicologico, il buon Jerome. Solo che lo faceva con prassi sperimentali un tantino condannabili: togliendo dal cervello delle scimmie una parte (l’amigdala), riscontrando poi con compiacimento come, privi di quella porzione di materia grigia, le scimmie iniziassero ad intraprendere comportamenti gastronomici come dire, opinabili.
Tipo che mangiavano le feci.
Solo a Rochester ci sono 25 McDonalds. I Burger King non li ho contati.
Forse, scoperchiando le calotte craniche di tutti i suoi concittadini, il buon Jerome avrebbe scoperto con disappunto che a tutti i rochesteriani manca l’amigdala.
Infatti mangiano m***a come qua viene ampiamente - ed ironicamente - sottolineato ed illustrato.
Ma non biasimiamolo, lo Schwartzbaum. Non c’è tempo per sì importanti studi.
E’ sabato pomeriggio, e deve accompagnare i nipotini – rigorosamente oversize – al 275 di UpperFalls Boulevard, dove indovinate un po’ cosa si mangia?
nota per il lettore: il resoconto degli esperimenti del buon Jerome lo si trova su questo libro

martedì, giugno 26, 2007

Coniglio in padella con insalata di cetrioli speciali!


Per pranzo, come sempre, avevo poco tempo a disposizione...mi andava però qualcosa di buono!

Allora ho preso dei pezzetti di coniglio che avevo in frigo e li ho rosolati a fuoco vivace in padella con uno spicchio d'aglio schiacciato, un filo d'olio e un rametto di rosmarino. Quando erano ben dorati ho sfumato con vino bianco secco e ho continuato la cottura ancora per qualche minuto aggiungendo le olive di Gaeta ed un goccio d'acqua.

Ieri sera avevo preparato l'insalata di cetroli di una varietà particolare che rimane più leggera, dolce e delicata...veramente ottimi dovete provarli!
Io li ho lavati, privati di gran parte dei semi e conditi con sale, olio,pepe ed un po di aceto...lasciati in frigo tutta la notte...oggi a pranzo erano molto buoni e rinfrescanti!

A questo punto ho composto il piatto con una insalatina tagliata finissima messa sotto il coniglio, i cetrioli ed una sfoglietta di pane croccante preparata mentre il coniglio era sul fuoco!
Niente male come pranzetto eh!! :)

domenica, giugno 24, 2007

Ostrega!....l'ostrica!

Immaginatevi nell’antica Grecia, presi nell’atto di pronunciarvi su chi debba essere punito con un esilio dall’Acropoli (e si trattava di esili forzati dai cinque ai dieci anni, mica due giorni!)…
Bene,
sicuramente starete vergando il tutto su un supporto scrittorio chiamato Ostraka. Che consiste in un frammento di vasellame di terracotta, nulla più.
Il suo nome deriva dal greco Ostrakon, il cui vero s
ignificato è conchiglia. Per estensione, si è chiamata conchiglia quel supporto di voto. Probabilmente perché la forma non ne era dissimile. Concetto ostico? Non abbiate ostracismi!

L’etimologia è fin troppo semplice. L’Ostrica – o quantomeno il suo nome – nasce proprio lì. Ed i greci ne avevano ben chiara l’esistenza, così come i Romani che ne iniziarono addirittura l’allevamento.
Plinio
il Vecchio presentava così i primi allevamenti di ostriche nel lago Lucrino (oggi in provincia di Avellino): “Primo fra tutti, Sergio Orata ideò dei vivai di ostriche a Baiano […] spinto non dalla ghiottoneria ma da interessi commerciali…

Ben altra l’origine invece dell’esclamazione (tipicamente veneta, per la verità, ma l’ho sentita anche nella variante italiano standard) òstrega!
Qua nessun riferimento all’affascinante crostaceo, invece, poiché trattasi di una corruzione di “ostia”, dotata di troppa sacralità per essere usata come esclamazione di sorpresa o stupore. Dato il carattere blasfemo del tirare in ballo il corpo transustanziaziato di Cristo, allora, si usa òstrega! così come osteria!
Quando la semi-blasfemia passa per la tavola.

Certo, avrei potuto raccontare qualcosa di più sulle ostriche dal punto di vista gastrofilo...

Ma se lo avessi fatto, chi sarebbe venuto poi a passare una domenica pomeriggio qua????


(Cliccare sulle locandine qua sotto per ingrandirle e leggere i dettagli)


venerdì, giugno 22, 2007

Sfoglia e fichi!


La foto è piuttosto brutta...lo so! Ma purtroppo la macchinetta digitale si è rotta...quindi per un po dovrete abituarvi a foto piccole e sfocate...il meglio che riesce a dare il mio telefonino!

Questa specie di rustici dolci però è veramente buona e speriamo si conservi al meglio fino a domani dato che li devo portare a degli amici fuori porta!

Ho semplicemente srotolato la pasta sfoglia confezionata, ricavato tanti dischetti e messo sopra un bel pezzetto di fico fresco maturo, spolverato con un po di zucchero ed infornato a 200°. Quando erano quasi pronti ho dato un'altra passata di zucchero in modo da far caramellizzare la sfoglia e una volta sfornati, dato che la fogliolina di menta per domani si sarebbe stecchita ma non volevo rinunciare al verde, ho aggiunto un pistacchio di bronte tagliato a metà!

giovedì, giugno 21, 2007

Il fragolino con la sua lisca



In questi giorni il mercato di Civitavecchia, non so per quale motivo, non offre una ampia scelta...quindi ho ricomprato i fragolini che sono sempre buoni!!


La cottura che ho fatto a questi filetti è la stessa che ho usato qui...poi però li ho serviti con la loro lisca impanata con la farina di grano duro rimacinata e fritta ed accompagnati da rughetta tenera con qualche fiorellino. Una emulsione di olio e limone ed è pronto!

lunedì, giugno 18, 2007

Fegato


Sua nonna gliel’aveva raccontata così:
“Una vecchietta va dal macellaio.
Ao, cell’hai er fegato? – gli chiede.
E lui – Certo signò! –.
E lei: - Allora… damme n’bacio n’bocca! -.”
Quei puntini di sospensione erano la sottile linea rossa tra l’essere un ragazzino ed un grandicello.

Ma lui lo avrebbe scoperto solo anni dopo, quando raccontando la barzelletta nella comitiva di bulletti di periferia aveva guadagnato honoris causa la palma di zimbello.
La dimostrazione di coraggio del macellaio stava nel baciare ben altre labbra, ma nonna aveva chiaramente pensato bene di ometterlo.

Il fegato, nel medioevo – ed in alcune visioni orientaleggianti rispolverate di recente dalla new age – ha conteso al cuore l’invidiabile proprietà d’essere contenitore dell’amore e della passione, del coraggio e dell’audacia. Donde le espressioni “Avere fegato, Essere di fegato”. Oppure “Rodersi il fegato”.
Ne senti il nome e te lo immagini lì, bello rosso, adagiato all’interno della vetrina del macellaio, quasi pulsante di rabbia.
Un fegato bianco non potrebbe contenere tutta la collera e l’audacia del mondo.
Un fegato pallido è il fegato di un codardo.
E infatti Shakespeare, nel Macbeth, addita quello dicendogli “Thou lily-livered boy” (v.3).

Le oche, invece, i sentimenti nobili e quelli di rivalsa devono averli nel becco, o forse sotto le dita palmate. Poveraccie!
Sennò sai quanto si incavolerebbero! La collera monterebbe di pari passo con il foie che si fa gras, e la rivolta potrebbe essere fulminea e violenta, così come paventato tempo addietro (proprio sotto Pasqua) con i candidi graziosi agnellini.

Fegato viene dal latino ficàtum, fico. Forse perché il sapore dolciastro di questo organo ricordava ai primi assaggiatori quello del frutto tanto amato dai romani, forse perché è di fichi che venivano ingozzate le oche, senza che mai una volta si inalberassero.

Stavano lì, vedevano arrivare il contadino ed aprivano il becco, rassegnate al loro destino.
“Che vuoi fare, ci vuole fegato!”, diceva sempre una di loro, quella con più esperienza, alla compagna d’aia terrorizzata. Per rasserenarla, poi, le raccontava la storiella di quella vecchina che va dal macellaio…


PS
Devo l’ispirazione per questo divertissement ad alcune immagini evocative in materia sciorinate l’altra sera in compagnia di questo, questa, questa e quest’altro simpatici colleghi di penna e pentole – ironia vuole – proprio qualche centimetro più in su del fegato, ovvero da Cuore.
Che, tra l’altro, è uno di quei posti nei quali il palato (più su) gode sempre in maniera proporzionale alla testa (ancora più su!), tanto è stimolante la cucina e la filosofia del patron
Mara.

venerdì, giugno 15, 2007

Giusto il tempo di far bollire l'acqua!

Questi gnocchetti sono velocissimi da preparare ma vi assicurano un pranzetto gustoso...

l'unica scocciatura è tagliare a piccoli dadini le zucchine eliminando la parte centrale che generalmente è un po "molliccia". A questo punto però non vi rimane altro che saltarle 2 minuti in padella con un po d'olio e qualche lamella di cipollotto fresco aggiungere una cucchiaita di concassè di pomodoro (cioè pomodoro sbollentato per 15'', privato della pelle e dei semi e fatto a dadini-potete sbollentarlo al volo nella stessa acqua dove cuocerete gli gnocchi) e qualche foglia di basilico...buttate gli gnocchi e appena vengono a galla ripassateli in padella. Una grattata di primo sale semi-stagionato direttamente sul piatto e a picere una spolverata di mandorle tostate.

mercoledì, giugno 13, 2007

Panino!

...e proprio nel giorno in cui il pranzo - per cause di forza maggiore - è posticipato al primo pomeriggio, ci capita di passare per Monteromano e - ovviamente - comprare una pagnotta di quelle rùushtiche (come dicono là!)...

Due fette di pane di grano duro evocano mirabilie sulla farcitura.

A noi è andata così:
*carciofini sott'olio (da agricoltura biologica) di Ladispoli,

* pesce spada affumicato dalla bottega delle meraviglie scovata in un angolo della città dietro al porto

* una foglia di radicchio per dare colore e croccantezza

* una fettina di mozzarella di bufala (per la precisione, mini-trecce freschissime giunte in mattinata dall'agropontino)

* e per concludere, un giro d'olio di Canino (facciamo pubblicità? E facciamola: Frantoio Archibusacci).



Componete il panino ed infornate per pochi minuti (che sembreranno un'eternità!) giusto per far cedere appena la mozzarella e armonizzare i sapori!

martedì, giugno 12, 2007

Zuppetta di scorfano

Questo è un piatto tipico delle mie parti (anche se per ogni porto ci sarà una ricetta simile!)...per prepararlo occorrono pochi gesti ed ingredienti...solo una cosa è necessaria: il pesce deve essere freschissimo! Sguardo limpido e lucente, branchie rubino e corpo sodo!
Lo stesso porcedimento può essere fatto con altri pesci di scoglio, con un bel polpo oppure con pesci misti...insomma scegliete voi quello che preferite...io ho usato soltanto degli scorfani e dei capponi di misura piccola.

Per rendere più elegante il piatto potete servire il pesce sfilettato mettendo in cottura la lisca e poi passando il composto cuocendo all'ultimo il filetto...io però preferisco lo più rustico!

Si inizia con un soffritto di aglio olio peperoncino gambi di prezzemolo e un po di concentrato di pomodoro. Dopodichè si aggiungono dei pomodori o quelli piccoli (vanno bene pachino, ciliegini, pennuli..) oppure quelli più grandi cosiddetti da sugo ...a questo punto sale, pepe e si lascia cuocere per un pochino. Quando il pomodoro è quasi pronto (non lo fate ritirare troppo altrimenti non vi viene il bel sughetto lento!) aggiungete il pesce (logicamente pulito e privato delle scaglie). Quando è cotto servite caldo con crostoni di pane casereccio bruscato e passato appena con uno spicchio d'aglio.

Si può spolverare di prezzemolo tritato ed aggiungere un giro d'olio.

sabato, giugno 09, 2007

Muscoli

Per tutto il tempo che impiegammo ad attraversare il Meir parlammo di ragazze.

Giunti a Groen-plats, davanti ad un cartoccio di frites, di calcio.

Proprio davanti alla statua di Brabante che getta la mano del gigante despota verso le facciate bidimensionali dei palazzi che si affacciano su Groet-Markt, ci facemmo reciprocamente un riassunto sintetico – e in quanto tale plastificato – delle nostre pur brevi esistenze.

Inevitabilmente, poggiati al parapetto a strapiombo su una Schelda che lenta defluiva, finimmo per parlare di cibo.

Non aveva i muscoli, Christopher detto Chris, ma se era per quello, neanche io.

Però avevamo due bei cervelli, sulla stessa lunghezza d’onda, per giunta.

Avevo fortemente immaginato che in quel pomeriggio ci saremmo giocati tutte le cartucce conversazionali di cui disponevamo. E che fossimo rimasti senza niente più da condividere, se non quindici giorni di un roventissimo fine-aprile civitasvetulino.

Di carni e di pesci, pani e cioccolati si parlò su quella terrazza, con il chiosco stile liberty situato sull’estremità del molo che cominciò a strepitare quando la pioggia leggera – ad Anversa piove sempre, e quando non piove pioviggina – prese a tamburellare sul suo tetto di ghisa.

Il giorno dopo saremmo partiti per l’Italia, si andava a casa mia ed avevamo voluto ritagliarci un pomeriggio per anticipare la conoscenza, dato che durante le due settimane di scambio culturale al Vanceelst Instituut avevo convissuto con un tale di Lier al quale avevo mostrato tutti i miei lati peggiori e di Chris non avevo ancora visto da vicino né i muscoli – d’altronde non ne aveva, ma neanch’io, tant’è – né il cervello.

Che poi Chris sia diventato una sorta di surrogato di fratello – quel fratello maschio che non ho mai avuto – è una verità vera. Dopo quei quindici giorni di prassi continuammo a vederci, tornò per due estati consecutive a trascorrere qualche giorno sulla costa, portò anche la sua fidanzata.

Mia nonna, ogni volta che tornava, si faceva trovare in prima fila, pronta ad abbracciarlo con le lacrime agli occhi. Avremmo addirittura trascorso una settimana a Parigi – in campo neutro – l’anno dopo, poco prima che la vita ci prendesse alle spalle come un Tir che non ti scorge mentre attraversi, noncurante, le strisce pedonali fischiettando.

Un giorno, per il suo compleanno – che tra l’altro coincide con il giorno della Santa Patrona civitasvetulina – mia madre diede fondo al massimo delle sue conoscenze culinarie sciorinando uno spaghetto con la vongola e, a seguire, cozze alla marinara. È tutt’ora una delle immagini che conservo con più nostalgia.

“How do you call them?”, chiede a mia madre. Che ovviamente cerca una traduzione vacante per la cucina. “Cozze”, risponde lei.

Magia dell’omofonia, “kotzen” in fiammingo significa “vomitare”. Non che il buon belga non sia stato avvezzo al mangiare “mosselen”, figuratevi! Un piatto istituzionale, nel Pays Plat (come Jacques Brel chiamava il Belgio). Ma certo, mi dicessero che tal piatto apparentemente familiare, nella lingua incomprensibile di un paese lontano, si chiami “vomitello”, beh, non nascondo che avrei delle remore ad assaggiare e sorridere contemporaneamente.

Immaginate allora l’espressione disgustata del buon Cristoforo, a tutta prima. Sconvolgetela poi nella mimica facciale sintomatica dell’appagamento dei sensi.

Che Chris non avesse i muscoli fu chiaro anche quel giorno. Finito di ingurgitare i muscoli di mare tracannò un bicchierone di latte scremato. “Per uccidere i microbi”, rassicurò chi lo guardava inebetito – nella peggiore delle ipotesi, con un conato di “kotzen” quasi quasi affiorante.

Quella polaroid mentale di un Chris senza muscoli né palle che beve latte dopo i muscoli, cozze, mosselen che dir si voglia, cell’ho fissata come un post-it sulla parete dell’ippotalamo. Che, per chi non lo sapesse, è l’area cerebrale dove albergano gli appetiti (sessuali e non).

Anni dopo, con Cristoforo, ho smesso di sentirmi.

In compenso, l’ippotalamo gli funziona bene, si direbbe.

Ora è sposato ed ha due figlioletti, e manda ancora cartoline d’auguri natalizi spolverando l’aneddoto delle cozze.

Non avrà i muscoli, ma almeno ha una buona memoria.




venerdì, giugno 08, 2007

Fragolino cotto al sale con fagiolini alla menta e Coulis di lamponi

È bastato uno sguardo ed è stato amore a prima vista….

Quella cassa di fragolini coperta di ghiaccio al mercato era davvero irresistibile.

Ma come esaltare un pesce così fresco e dalle carni delicate senza rovinarne la fragranza?
S’è dato il caso che la contadina proprio di fronte all’uscita del mercato del pesce avesse dei fagiolini finissimi ed un piccolo cestino di lamponi provenienti dai sottoboschi dei Monti della Tolfa.

L’alchimia è subitaneamente scattata.

Ora vi racconto come preparare questo piatto:

Per prima cosa, sfilettare i fragolini e togliere con le pinzette le eventuali spine restanti.

Pulire i fagiolini e sbollentarli in acqua salata, scolarli poi in una bacinella con acqua e ghiaccio per fissarne il colore. Una volta freddi, condirli con sale, pepe, olio, scorza e un po’ di succo di limone e foglioline di menta.

Prendere una padella (o una piastra) e riempirla con uno strato abbondante di sale grosso. Aspettare qualche minuto che il sale si riscaldi, ed adagiarci i filetti con la pelle rivolta verso il basso e farli arrivare a cottura senza girarli. Basteranno pochi minuti….

Infine frullare i lamponi con un goccio di limone, passarli al colino ed emulsionare con poco sale, pepe, olio.

A questo punto non vi rimane altro che impiattare!

Un paio di dettagli: la cottura al sale può essere fatta sia con altre carni che pesci, e potete sbizzarrirvi ad aromatizzare il sale con le spezie secondo voi più congeniali al piatto scelto.

Ah, un'ultima cosa.
Se nel chiedere i fragolini vedrete una strana espressione dipingersi sul volto del pescivendolo, nessun problema!

Il fragolino è noto altrove, in Italia, anche con il nome di Fraolino o Fravolino, o Luvero. Ma soprattutto con l’ittionimo probabilmente più corretto: Pagello.

Pagello deriva da una storpiatura del vezzeggiativo di Parago (Paragello), a sua volte in discendenza diretta dal greco “phagros”, vorace, nome meritato dal nostro affezionato per la sua attitudine carnivora.

Se poi vi doveste trovare in Inghilterra, là lo chiamano Red Porgy.

In Spagna, invece, semplicemente Pargo...

mercoledì, giugno 06, 2007

Un must dell'estate...Crostata di frutta


Anche se nell'aria - in questi giorni - sembrava di respirare più profumo d'autunno che d'estate, nel Monolocale la bella stagione abbiamo deciso di farla irrompere con un must del periodo...
una bella Crostata di frutta con una pasta frolla morbida e fragrante, la classica crema pasticcera (preparata da un pasticcere d'eccezione), lamponi e more freschissime ed una leggera gelatina di lime!

La ricetta della pasta frolla, ormai collaudata nel Monolocale: 250g farina00, 125g burro, 125g di zucchero, 1 uovo (50g), sale fino qb, aromi (vaniglia, scorza di limone o arancia).
Mescolare il burro in “pomata” con lo zucchero, il sale e gli aromi. Aggiungere le uova quindi versare nel composto in un’unica soluzione la farina impastando velocemente con la punta della dita fino ad ottenere un impasto omogeneo. Avvolgere la pasta nella pellicola trasparente e lasciarla riposare ½ h (ma qualche ora sarebbe meglio!). Foderare con la pasta frolla una tortiera, mettervi sopra un foglio di cartaforno ed uno strato di legumi secchi (per non far gonfiare la pasta). Infornare e cuocere per 30’ circa a 180°. A questo punto togliere lo strato di legumi e far cuocere altri 5'. A cottura ultimata lasciar riposare prima di sformare.

Per la crema pasticcera, va bene qualsiasi ricetta. Ve ne indico una semplice (che è riuscito a fare anche - o quasi - Fabrizio) - anche se non molto precisa:

2 tuorli amalgamati con 4 cucchiai colmi di zucchero, ai quali vanno aggiunti 2 cucchiai di farina setacciata, scorza di limone, vaniglia e 500 ml di latte caldo. Rimettere sul fuoco e girare con una frusta finché non raggiunga la consistenza desiderata.

Per la gelatina basta spremere un lime, aggiungere il succo di mezzo limone, circa due bicchieri d'acqua, zucchero a piacere, portare a lieve ebollizione ed aggiungere un foglio di colla di pesce precedentemente ammollato in acqua fredda.
Quando il composto è tiepido, pennellarlo delicatamente sulla torta.

lunedì, giugno 04, 2007

Crudi (o quasi) alla meta... al mare!


Sarò onesto…

Resistere alla tentazione di citare il sushi, parlando di prodotti a base di crudità, è stato più semplice del previsto…

Sugli scudi mi sento di far finire invece – e qua l’amore sviscerato per tutto ciò che è hispànico ha decisamente prevaricato – il Ceviche, piatto sì radicato nella tradizione gastronomica dei paesi sudamericani tanto che in Perù è stato elevato al rango di Patrimonio Culturale della Nazione.

Ma cos’è il Ceviche?

A fianco della tradizione che lo vuole inventato lungo la costa pacifica del Sudamerica, esiste una scuola di pensiero secondo la quale questo piatto a base di pesce fresco marinato sia stato importato dai Conquistadores che, a loro volta, avevano attinto a piene mani dal patrimonio culinario arabo…

Ed anche a livello etimologico, ah!, l’origine è incerta. Si sa che in quechua, lingua indigena andina, questo piatto veniva chiamato siwichi. Altri sostengono, ancora, che derivi dalla parola viche (“tenero” in chibcha, altra lingua amerindia).

La Real Academia Española suggerisce una discendenza dall’arabo ﺳكباج (sikbāg), che si riferisce alla conservazione ottenuta per mezzo di liquidi ad alta acidità, come l’aceto o il limone. Sembrerebbe infatti che le donne moriscas catturate come bottino di guerra dai cattolici a Granada mescolassero succo di arancia amara o limone al pesce crudo.


Gli ingredienti basici del ceviche sono pescato freschissimo (pesce bianco) tagliato in pezzetti di piccola dimensione, succo di limone, cipolla rossa alla julienne, aglio e peperoncino, sale.


Tradizionalmente, il pesce deve esser pescato all’amo e non servendosi di reti, affinché la carne non subisca traumi.


Nell’antico Perù per la preparazione del ceviche si utilizzava il succo fermentato di tumbo (Passiflora Mollisima), frutto autoctono.

Durante l’Impero Inca, invece, il pesce veniva macerato con la chicha, bevanda ottenuta dalla fermentazione del mais (e che la signora andina della foto sembra gradire particolarmente!).


Viene spesso accompagnato con pannocchie tostate o foglie di lettuga, oppure – specie al Nord – da legumi.


Il succo prodotto dal mescolare i vari ingredienti viene chiamato leche de tigre, e, nella tradizione popolare, viene raccomandato come colazione per i nottambuli o come afrodisiaco (e sui mille modi di dire/fare/baciare a letto e in cucina, bella la digressione di qualche giorno fa di GialloZafferano).


Il “latte di tigre” viene chiamato “latte di pantera” quando al pescato si aggiunge un crostaceo (Anadara tuberculosa), detto Conchiglia Nera, che si può trovare solo lungo la costa Pacifica del Sudamerica.


L’accompagnamento par excellance è con la chicha morada, ma anche una birra a bassa fermentazione - per me - non sfigurerebbe!

venerdì, giugno 01, 2007

Si prevedono serate spumeggianti!!

Nel "Monolocale" è arrivato, da parte degli amici, un regalo veramente di 'Gusto!!!! :)))
Al più presto vi farò vedere i primi esperimenti!!
Se avete consigli, ricette, idee, proposte...scrivetemi!! :)
Io intanto cerco di aggiustare la macchinetta fotografica...si è andata a rompere proprio oggi!!!!
Per ora accontentatevi della foto scattata con il cellulare!!