venerdì, aprile 04, 2008

Bitter (not sweet) symphony


Sulla scia dell’apprezzamento Cavolettiano per la Settemmezzo (e Sigrid – a proposito, bel vernissage –, in quanto belgische, è birristicamente autorevole per volere divino), nel Monolocale ci gingilliamo ancora una volta con l’ambrosia di Gambrinus.

Stavolta, però, più che il Pays Plat, al centro della scena è uno stile tipicamente british: la traditional bitter.

Dell’insostenibile leggerezza dell’essere (amara) ho parlato qualche giorno fa su Peperosso, dove scrivevo di una di quegli innamoramenti istantanei che pochi ne capitano nella vita, ergo l’incontro ravvicinato del quinto tipo con la XX Bitter di De Ranke.

E poiché, finiti i freddi e con loro i tempi per strong ales, birre natalizie, porter & stout, il sopraggiungere della primavera trascina con sé voglia di qualcosa di fresco e dissetante, s’è deciso di approfondire il discorso sulle bitter.

[Piccolo inciso: il concentrarsi sulla produzione british non è casuale. Lo sanno bene Sir Alfred Barnard e tutti coloro i quali, nelle settimane scorse, si sono visti contattare da un Fabrizio Gabrielli intento a cercare materiale per una tesi basata sul gusto Vittoriano per la birra. That’s all.]

Grazie ai sempre sapienti e mirati consigli del buon Mirko, nel portabagagli della Monolocale-machine si sono ritrovate due chicche del St Peter’sla Old Style Porter e la Best Bitter – nonché una britannica collega, la O’Hanlon’s Royal Oak Traditional Bitter.

O’Hanlon’s, per chi non lo sapesse, è il birrificio che produce la mai-troppo-celebrata Thomas Hardy’s Ale (anche di lei, tempo fa, scrissi su Peperosso). Ed anche lì, ebbene sì, fu amore a primo sorso. E forse non tutti sono a conoscenza del fatto che O’Hanlon’s ha praticamente rilevato l’intera gamma della Eldridge Pope, scomparsa dalla scena birraria nel 2003, che la Royal Oak la brassava dal 1896.

Quando, nel 1651, a seguito della disfatta di Worcester il re Carlo II pensò bene di nascondersi su una quercia, probabilmente non immaginava che quattrocento anni (e spiccioli) dopo lo si sarebbe immortalato sull’etichetta di una bottiglia di birra.
Con molta probabilità nemmeno Oliver Cromwell lo sospettava, altrimenti l’avrebbe prontamente scovato.

Fatto sta che la Royal Oak racchiude in sé tutti i tratti salienti di una bitter: un aroma leggermente speziato, ad esempio, ed un gusto (specie il retrogusto) lungamente amaro – grazie alla particolare varietà di luppolo, il Goldings, utilizzato –, sebbene del tutto bilanciato dalla dolcezza dei malti che le conferiscono una nota, come dire, "caramellizzata".

Insomma, una birra rinfrescante, bilanciata, della quale bere una, due, più pinte. In tranquillità, mentre fioriscono i peschi.

Godendosi tutta l’insostenibile leggerezza dell’essere (amari).

1 commento:

Robiciattola ha detto...

un salutino!
stanca.
notte.

A PRESTO!!! Bravi....

Roberta