lunedì, marzo 12, 2007

Quando il profiterole era povero…

Portato sugli scudi dalla haute pâtisserie d’oltralpe, il profiterole (o profiterol, prophiterole, profiterolle – tutte le grafie sono accettate e largamente documentate) ha, e forse non tutti lo sanno, umilissime origini.

L’etimologia, tuttavia, è quanto mai incerta. Sembrerebbe che il primo uso attestato si riferisse ad un tipo di “pane ripieno cotto sotto le ceneri”.

Una ricetta della fine del XVII secolo, citata da Alfred Franklin in La vie privée d'autrefois. Arts et métiers, modes, mœurs, usages des Parisiens du XIIe au XVIIIe siècle: La Cuisine, edito nel 1888, definisce il profiterole come una pallina di pane secco, ripieno di tartufo e carne di cervo, da gustarsi immerse in un brodo di mandorle e scaròla.
Dites-moi si la petite demoiselle aime les pigeons aux petits pois et les profiterolles, « ditemi se alla signorina piacciono i piccioni con i piselli e i profiteroles » (A. FRANCE, Bonnard, 1881, p.442).

Una citazione autorevole la ritroviamo nientepopodimenoché in Gargantua e Pantagruel di Rabelais, nel capitolo sette, quando Gargantua in persona, recatosi alla Biblioteca di San Vittore a Parigi, trova nell’inventario dei libri, tra tanti altri titoli, un libello chiamato “la Profiterolle des indulgences”, il piccolo profitto delle indulgenze.

Una delle interpretazioni, infatti, è quella secondo la quale la desinenza “-ole” abbia funzioni diminutive. Profiter (fare profitto) + ole (diminutivo): un piccolo profitto. La servitù, nella Francia medievale, era spesso pagata con piccoli quantitativi di carne provenienti dalle battute di caccia dei padroni, avviluppate da croste di pane raffermo.

Altra chiave di lettura, invece, quella secondo la quale profiterolle non sia che un composto di profit e rolle: tondini che danno guadagno. E a giudicare dal successo avuto, al di qua come al di là del Monte Bianco, non si può che concordare…

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