venerdì, febbraio 02, 2007

FOODBALL: MAGNAROMA Capitolo 1

A pensarci col senno di poi – e con un pizzico di benevolenza –, se Der Spiegel ci ha definiti calciofili mangiapasta (più una carrettata di improperi ed offese varie) non è che abbia sbagliato poi di molto (carrettata esclusa).
Noialtri italici siamo riusciti a concentrare nella stessa giornata, la domenica, una serie di abitudini che rappresentano l’elevazione spirituale in calce ad una settimana di purgatorio. Messa, pranzo-abbuffata a casa dei parenti più stretti, partita di pallone. Rigorosamente una di seguito all’altra, un po’ per sussiegoso rispetto, un po’ per linearità inattaccabile. Tre gioie per l’anima.
A farne le spese, allontanandosi dall’età da catechismo, è inevitabilmente la prima. Ma il melange nella quale le rimanenti due si fondono riesce sempre a riemergere, con costanza, dal novero dei ricordi più belli.
Dovessi scegliere tra le fettine di carne panata di nonna e Beppe Giannini che mostra le tre dita dopo una vittoria “una e trina” in un derby di più di dieci anni fa, beh, tentennerei per più di un attimo.
Pensi all’Olimpico e al mangiare, tourbillons emozionali t’assalgono subitaneamente.
Spesso la gita domenicale comincia con un atto gastronomico. Preparandoti – o facendoti preparare – i panini. Mia nonna era geniale. Nelle diciassette – a quei tempi non c’erano anticipi né posticipi – domeniche a cavallo tra il 1995 e il 1996 ha dato il meglio di sé, riuscendo ad infilare nel ventre accogliente delle rosette praticamente di tutto. Per un Roma-Sampdoria d’inizio primavera diede vita, in preda a deliri d’onnipotenza, alla mefistofelica entità del panino-pasto completo, riuscendo ad imbottire le due semisfere di pane con frittata di patate, formaggio filante e salsiccia, all together. Difficile dimenticarlo, anche perché quando Abel Balbo venne a festeggiare la doppietta sotto la curva io ero lì, da qualche parte in mezzo alla folla, a contorcermi per i dolori di stomaco.
Ma non sempre fai in tempo ad attrezzarti per il picnic. Ed allora, angeli dalle ali unte di grasso, vengono in tuo soccorso gli zozzoni, i paninari ambulanti che si piazzano all’imbocco del vialetto che costeggia il Foro Italico e che farciscono il pane raffermo con salsicce di dubbia provenienza e crauti, senapi e maionesi, checiaps custoditi in silos da venti litri e pericolosi – oltre che per i trigliceridi – per l’incolumità dalle macchie della sciarpa giallorossa stretta al collo.

Altri soggetti gastronomici quantomeno coloriti si aggirano per e fuori dallo stadio. Più ti avvicini alle gradinate e più spunta da ogni angolo qualcuno pronto a rifilarti caffè borghetti, il caffè liquoroso dello sportivo, ergo di quello che – alle nove e mezza di sera di un trentun gennaio particolarmente freddo – se ne sta ad incitare la sua squadra in curva sudde piuttosto che non a casa, ammaliato dalla tecnologia del digitale terrestre. Un tempo, strateghi della promozione commerciale, gridavano “Borghetti, caffè borghetti, biglietti”, che faceva pure rima ed aveva un effetto fonico sensazionale. Oggi, per via del decreto Pisanu, la figura del bagarino-caffettaro s’è fatta sbiadita polaroid d’un tempo che era e che non tornerà.
Tra i seggiolini del settore Distinti S
ud – Er Bozzo avrebbe detto “settore pe chi saa sente calla” – s’aggira poi er nocciolinaro, silhouette mitica, sbracciato pure quando fanno due gradi, che scende gli scalini camminando all’indietro per non farsi sbilanciare dal sacco di iuta che porta legato al collo, davanti a sé, rigonfio di bruscolini e noccioline.
Ma la figura più carismatica è senza ombra di dubbio quella de er bibbitaro. Er bibbitaro è la valvola di sfogo umorale del tifoso.
Stai vincendo? Lo raggiungi, gli lanci pure un sorriso, scambi due battute.
Stai perdendo? Lo cerchi con lo sguardo e, una volta adocchiato, urli “A BIBBITAROOOO!”, esigendo che passi dalle tue parti.
Er bibbitaro trascende da ogni legge umana e divina.
Infatti, mentre i carabinieri con indefessa solerzia tolgono tappi e tappetti, lasciandoti a rimirare pensoso bottiglie da un litro stappate, avviluppato nell'interrogativo di come farai a berti tutta l’acqua prima che nella confusione si rovesci ingloriosamente a terra, er bibbitaro no.
Lui le bottiglie te le consegna con tutto il tappo.
Noblesse oblige.

2 commenti:

Unknown ha detto...

cosa darei per andare in curva all'olimpico almeno una volta......

Le ragazze del mestolo ha detto...

bello il tuo di blog...davvero fighissimo, prenderemo un sacco di spunti per migliorare anche il nostro..
il mestolo team..