mercoledì, gennaio 24, 2007

Il detective ottomano in cucina....


"Era stata una mattinata difficile. Yashim andò all’hammam, dove lo insaponarono e lo massaggiarono, e rimase a lungo nella stanza calda prima di tornare a casa con indosso gli abiti freschi di bucato. Finalmente, dopo aver valutato a lungo la questione sotto ogni aspetto nel tentativo di individuare una pista, si rivolse a quella che gli appariva da sempre l’alternativa migliore.
Come fai a trovare tre uomini in una città medievale decadente e nebbiosa di due milioni di abitanti?
Non ci provi neanche.
Ti metti a cucinare.
Si alzò e raggiunse lentamente l’altro lato della stanza, che era immerso nell’oscurità. Sfregò un fiammifero ed accese la lampada, smoccolando la candela finchè la fiamma non diffuse un chiarore intenso e costante. Apparvero, disposti in bell’ordine, un fornello, un piano d’appoggio e una fila di coltelli dall’aria assai tagliente, che pendevano a mezz’aria da un giunto di legno.
Dal cesto nell’angolo Yashim scelse alcune cipolle piccole e sode. Le sbucciò e le affettò sul tagliere, in un verso e poi nell’altro. Mise sul fuoco una pentola con una spruzzata d’olio d’oliva per il soffritto. Quando le cipolle rosolarono, buttò due pugni di riso che prelevò da una giara di terracotta.
Aveva scoperto la cucina molto tempo prima. Più o meno nel periodo in cui, essendogli venuti a noia i suoi tentativi di raggiungere un più rozzo appagamento dei sensi, si era rassegnato ai piaceri più sofisticati. Non perché, fino ad allora, avesse ritenuto la cucina un mestiere da donne: i cuochi nell’impero potevano essere d’ambo i sessi. Forse però la considerava un lavoro da poveri.
Una volta tostato il riso, versò una manciata di uvetta ed un’altra di pinoli, una zolletta di zucchero e un’abbondante presa di sale. Tirò giù un barattolo dalla mensola e prese una cucchiaiata di concentrato do pomodoro che stemperò in un bicchiere pieno d’acqua. Svuotò il bicchiere nel riso, che sprigionò un sibilo ed un pennacchio di vapore. Aggiunse un pizzico di menta essiccata, ci macinò sopra un po’ di pepe e rimescolò il tutto, poi coprì la pentola con un coperchio e la spostò dal centro del fuoco.
Aveva comprato le cozze pulite, quelle grosse dieci centimetri di Terapia, sul Bosforo. Le aprì una alla volta facendo leva con un coltello piatto e le buttò in una bacinella d’acqua. Il riso era a metà cottura. Tritò l’aneto, molto finemente, lo unì al composto e versò il tutto su un piatto da portata lasciandolo a raffreddare. Scolò le cozze e le farcì servendosi del cucchiaio, chiudendo i gusci prima di posarle capovolte a strati in una padella. Le tenne schiacciate con un piatto, aggiunse un goccio d’acqua calda dal bricco, ci mise sopra un coperchio e spostò la padella sulla brace.
Prese un pollo, lo tagliò a pezzi, schiacciò delle noci sulla parte piatta della falcetta spaccaossa e preparò un acem yahnisi, con succo di melograno.
Quando fu tutto pronto prese un brocca dal collo di cigno e con estrema cura si lavò le mani, la bocca, il viso, il collo e, da ultimo, le parti intime.
Tirò fuori la stuoia e pregò. Una volta terminato riarrotolò la stuoia e la ripose in un angoletto.
Tra poco, sapeva, avrebbe avuto ospiti."
Dal libro che ora è sul mio comodino:
"l'albero dei Giannizzeri" di Jason Goodwin

1 commento:

Fabrizio Gabrielli ha detto...

ça va sans dire che il libro in questione farà presto un salto da un comodino all'altro del monolocale...
buona notte, o tu che puoi!
smpciù
...vado a scrivere...
F