M'era venuto di dire la mia, in totale ritardo e con una sferzata di antinazionalpopolarismo snobissimo e pure un po' dandy, sulla boutade cucina molecolare sì-cucina molecolare no istigata con levità da Striscia la Notizia e ripresa dal foodblogging come una crociata stile "in hoc textura vinces".
Il fatto è che quella paventata dai pasdaràn della cucina tradizionale (ed ergo dai nemici giurati della gastronomia scientifica, come se non esistesse un punto d'incontro, una mediazione) m'aveva fatto pensare all'irriduzionalismo Amish. Forse perché in un delirio di commonplace avevo pensato all'Amish come al passatista per eccellenza, all'archetipo del conservazionismo.
Ma poi io, della cultura Amish, conosco ben poco.
Per questo, sorretto da un'ulteriore folata di banalità, mi sono andato a documentare su Wikipedia.
Ed ho scoperto.
Ho scoperto che ai giovani Amish viene concesso, in un periodo più o meno lungo chiamato Rumspringa, di provare tutto ciò che il codice morale amishico vieta, tipo indossare i bluejeans fumare spinelli pisciare per strada copulare senza scrupoli truccarsi baciarsi penitenza lettera o testamento.
E che passato questo periodo, beh, il novanta per cento degli amish-in-stand-by torna al vecchio (sic) stile di vita. Col sorriso sulle labbra, per giunta.
Ed allora la mia congettura s'è smontata come una spuma sifonata al passare delle trentasei ore, perché se anche una confessione religiosa così rigida concede il placet per un tuffo nel proibito, ecco, forse quel proibito così diabolicamente proibito non è, dopotutto.
Un apprendistato alla capacità di discernimento. Ecco cos'è il Rumspringa. Ecco cosa ci vorrebbe, in cucina.
Mutatis mutandis, per riportare il discorso sui binari iniziali, se un tradizionalista prova a dibattersi in cucina con alginati e xantane e s'inebria di consistenze gelatinose, alla fine, ma cosa succederà mai?
L'importante è avere la certezza che, comunque vada, a questo cuciniero Rumspringa si può sempre porre fine.
Se proprio ci fa schifo schifo, intendo.
Il fatto è che quella paventata dai pasdaràn della cucina tradizionale (ed ergo dai nemici giurati della gastronomia scientifica, come se non esistesse un punto d'incontro, una mediazione) m'aveva fatto pensare all'irriduzionalismo Amish. Forse perché in un delirio di commonplace avevo pensato all'Amish come al passatista per eccellenza, all'archetipo del conservazionismo.
Ma poi io, della cultura Amish, conosco ben poco.
Per questo, sorretto da un'ulteriore folata di banalità, mi sono andato a documentare su Wikipedia.
Ed ho scoperto.
Ho scoperto che ai giovani Amish viene concesso, in un periodo più o meno lungo chiamato Rumspringa, di provare tutto ciò che il codice morale amishico vieta, tipo indossare i bluejeans fumare spinelli pisciare per strada copulare senza scrupoli truccarsi baciarsi penitenza lettera o testamento.
E che passato questo periodo, beh, il novanta per cento degli amish-in-stand-by torna al vecchio (sic) stile di vita. Col sorriso sulle labbra, per giunta.
Ed allora la mia congettura s'è smontata come una spuma sifonata al passare delle trentasei ore, perché se anche una confessione religiosa così rigida concede il placet per un tuffo nel proibito, ecco, forse quel proibito così diabolicamente proibito non è, dopotutto.
Un apprendistato alla capacità di discernimento. Ecco cos'è il Rumspringa. Ecco cosa ci vorrebbe, in cucina.
Mutatis mutandis, per riportare il discorso sui binari iniziali, se un tradizionalista prova a dibattersi in cucina con alginati e xantane e s'inebria di consistenze gelatinose, alla fine, ma cosa succederà mai?
L'importante è avere la certezza che, comunque vada, a questo cuciniero Rumspringa si può sempre porre fine.
Se proprio ci fa schifo schifo, intendo.
1 commento:
Post fantastico.
Ho mangiato in un ristornate Amish a Chicago, ci hanno spiegato un po' di cose ma questa non la sapevo e la trovo molto intelligente.
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