Che poi, ci pensavo un po’ di tempo fa, a cucinare bene e a fornire imprinting culinari prêt-à-porter sono da sempre le nonne, mica le madri.
Figurarsi quella di Gionata, di madre.
Gionata è uno dei personaggi - oh, IL personaggio - di ciò che ho appena finito di scrivere.
Che è un romanzo, ma non ha ancora un titolo, o quantomeno non uno stabile e conclamato.
La pantasiléica gionatesca genitrice è una per la quale, all’ombra di una scena magrittiana, puoi tranquillamente ritrovarti ad interrogarti “su cosa ci fosse di meglio al mondo dell’essere Gionata, vivere con una donna che coltivava peyote come tu facevi col basilico, sul davanzale di casa, fregandosene di tutto e tutti.”.
La pantasiléica, che la prima volta che la vedi “ha con sé una cartata di coppiette di maiale ed una bottiglia di cannaiola artigianalmente confezionata”, è pure una sorprendente cuoca, però. Nonché una buongustaia.
E che tripudio di fornellistico godimento quando si cimenta nella preparazione del capriolo, immancabile desinare del dì di festa.
Oppure quando, ti stupisce “estraendo dal cilindro nientepopodimenoché un doro wot etiope di rara bontà, "e allora non sai fare solo il capriolo", aveva scherzato Gi. Avevano intinto injera ad oltranza, i tre, mentre il sole calava all'orizzonte e nei bicchieri la schiuma della birra con l'elefante sull'etichetta lasciava i segni d'ogni sorso, scandendo i discorsi.”.
E’ che la food-addiction è una malattia. Seria. Contagiosa. Altro che febbre suina.
E te la ritrovi pure tra un bum ed un cha. Pure in certi picnic surreali.
Per dire.
Figurarsi quella di Gionata, di madre.
Gionata è uno dei personaggi - oh, IL personaggio - di ciò che ho appena finito di scrivere.
Che è un romanzo, ma non ha ancora un titolo, o quantomeno non uno stabile e conclamato.
La pantasiléica gionatesca genitrice è una per la quale, all’ombra di una scena magrittiana, puoi tranquillamente ritrovarti ad interrogarti “su cosa ci fosse di meglio al mondo dell’essere Gionata, vivere con una donna che coltivava peyote come tu facevi col basilico, sul davanzale di casa, fregandosene di tutto e tutti.”.
La pantasiléica, che la prima volta che la vedi “ha con sé una cartata di coppiette di maiale ed una bottiglia di cannaiola artigianalmente confezionata”, è pure una sorprendente cuoca, però. Nonché una buongustaia.
E che tripudio di fornellistico godimento quando si cimenta nella preparazione del capriolo, immancabile desinare del dì di festa.
Oppure quando, ti stupisce “estraendo dal cilindro nientepopodimenoché un doro wot etiope di rara bontà, "e allora non sai fare solo il capriolo", aveva scherzato Gi. Avevano intinto injera ad oltranza, i tre, mentre il sole calava all'orizzonte e nei bicchieri la schiuma della birra con l'elefante sull'etichetta lasciava i segni d'ogni sorso, scandendo i discorsi.”.
E’ che la food-addiction è una malattia. Seria. Contagiosa. Altro che febbre suina.
E te la ritrovi pure tra un bum ed un cha. Pure in certi picnic surreali.
Per dire.
3 commenti:
Non vedo l'ora di conoscere Gionata. "Picnic col surreale" anche per me, offro io !!! [che in questo periodo giusto col surreale...sigh...]
Penso che non lo troveresti per nulla simpatico, Gionata.
Lui non è simpatico a nessuno, tout court.
Men che meno alla balena, nel cui ventre potrebbe (dovrebbe?) trovarsi...
c u
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