lunedì, giugno 23, 2008

India Pale Ale - Di una birra, dell'India e di quant'altro...


Che ci fanno un'italiana, un'inglese ed un'americana sul balcone del Monolocale?
Se sono tre birre - più specifico, tre India Pale Ale -, quello che di meglio potrebbero fare. Ovvero, presentarsi al cospetto del birrafondaio del Monolocale come l'espediente più adatto per aggirare l'afosa umidità di questi primi giorni d'estate.
Perché le IPA, con la loro luppolatura elevata, il basso volume alcolico e la facile beva sono in assoluto la mia tipologia birraria per l'estate.

Occhei, c'è di più.
Le India Pale Ale hanno una storia assai interessante, ammantata di pensate geniali, spionaggi industriali, mercati da conquistare e impiegati, militari, amministratori del Raj Britannico assetati da soddisfare...
Che la birra abbia da sempre seguito chi ha l'ambrosia di Gambrinus a scorrergli per il DNA è una verità vera, e già Carpentier parlando della colonia olandese a Paramaribo ne aveva dato prova... Ma l'India Pale Ale è qualcosa di più. Non è semplicemente una birra esportata. E' una birra nata per l'esportazione.

"E' una vecchia storia, ma nondimeno un dato di fatto, che le restrizioni poste dal Governo al traffico con il Baltico [...] indusse i birrai di Burton a concentrare l'attenzione su altri mercati [...] Ed altri strani racconti sono stati congetturati sulla sua origine, ognuno dei quali parla di una consegna di birra avvenuta in condizioni oscure che, dopo aver attraversato tutto il mondo, tornò alla Patria d'origine in condizioni così eccellenti, chiara e frizzante, tanto da esser detta superiore ad un bicchiere di Madeira o di champagne [...]"
(Alfred Barnard, The Noted Breweries of Great Britain and Ireland).

Per chi volesse saperne di più sulla supremazia organolettica delle birre di Burton-upon-Trent (che eccellevano, a quanto parte, per la particolarità della loro acqua ricca di sulfiti), sul piccolo birrificio londinese Hodgson che conquistò e monopolizzò il mercato indiano, sull'antipatia della Compagnia delle Indie Orientali per Hodgson ed il conseguente prepotente ingresso nei boccali indiani delle birre di Allsopp, c'è un esauriente sito all'uopo creato.

Ciò che piuttosto ancora si ignora è un'altra leggenda: quella dell'ingresso delle IPA sui mercati britannici. Perché le India Pale Ale, un po' come i kiwi di Latina, nei pubs londinesi non sarebbero mai finite se, nel 1827, una nave da carico non fosse affondata nel Canale d'Irlanda - permettendo così la fortunosa prima spillatura di IPA.

Fu amore a prima vista. Barnard ne loda le virtù così:

"[...] una bevanda tonica e nutriente, chiara, effervescente e piacevole [...]" (op. cit.).

Da Reading a Brighton, passando per Leeds, Sheffield, Newark, Stratford, fino alla gallesissima Cefn: ogni birrificio inglese produce almeno una di quelle IPA che - nel 1889 - sono sulla cresta dell'onda, richieste ed amatissime dai palati inglesi.

Per Roger Protz, quelle IPA prodotte a basso tenore alcolico, senza invecchiamento, running beers, non sono che "abusi storici", come molte delle suppostamente India Pale Ale sul mercato.

Le mie Snake Dog IPA di Flying Dog, Noscia di Maltovivo e IPA di St. Peter's sembrano aver intuito la loro pericolosa situazione.
Ree confesse, si sono dette pronte alla pena capitale.

2 commenti:

Massimiliano Fattorini ha detto...

interessante articolo!! anche a me piacciono in modo particolare le IPA, ne ho già preparate diverse e con ottimi risultati.

Un solo piccolo appunto, normalmente le IPA sono più alcoliche proprio perché dovevano reggere al lungo viaggio.

Fabrizio Gabrielli ha detto...

infatti.
E molto luppolate proprio perché il luppolo doveva evitare che la preziosa bevanda si ossidasse...