venerdì, aprile 11, 2008

L'education sentimentale di un assaggiAutore


"Tu come hai cominciato?".
E' rincuorante sapere che una siffatta domanda non circola solo tra gli alcolisti anonimi, in quelle riunioni in cui ci si apre al prossimo per finalità, ehm, terapeutiche.
Anche un assaggiautore - potrei dire foodblogger, occhei, oppure gourmet, ma voglio entrare sul De Mauro - ha, alle spalle, una genesi.

Appassionarsi alla gastronomia, me lo faceva notare qualche sera fa Stefano, è attitudine tutta da trentenni. Una sorta di buen retiro post trasgressività tardoadolescenziale.
Nondimeno, a quanto mi è dato sapere, così come Northrop Frye ha delineato una tassonomia dei topoi della favola è possibile tracciare una serie di motivi ricorrenti tra chi, per un motivo o per l'altro, è finito per spadellare in cucina e riversare fiumi d'inchiostro digitale su di un blog, pardon, di un foodblog.

Gli assaggiautori che conosco, in linea di massima, hanno ereditato la passione per la cucina dalle nonne. Badate bene, non da una qualsiasi delle nonne. Spesso e volentieri dalla mamma del papà. Meglio ancora se nonne circostanziate in atmosfere bucoliche, lontane dalla frenesia delle metropoli, nonne slow - se vogliamo - con tanto tempo libero da dedicare a lunghe cotture o preparazioni di paste all'uovo in piovigginosi mattini domenicali.

La mia, di education sentimentale gastronomica, segue questa falsariga. Mentre i miei si dedicavano a tutt'altro tipo di educazione - la tutina giallorossa della foto a riprova -, le nonne mi coinvolgevano nell'appassionante preparazione degli gnocchi piuttosto che non della zuppa di pesce.

In "Occhi", uno dei racconti di prossima uscita, ho voluto rievocare quell'infanzia gourmet trascorsa a far la spola tra Monteromano e Civitavecchia.

C’erano i preparativi, nonna tra i fornelli, un’atmosfera da fine delle lezioni. Tirare calci al pallone non era più viatico per risollevarmi, e poi nel piazzale sarei stato il primo – mozzo di vedetta – a veder arrivare la Ford Fiesta rossa, mia madre scenderne, le sue guance farsi alla portata dei miei baci sollevati. Le due settimane al mare finivano così, davanti alla zuppa di pesce, di fronte alle pupille bianche, amorfe di scorfani e cocci affogati nel brodo di mazzumaja.

E poi

Nei tre giorni della Sagra della Carne Maremmana, a Monteromano, può succedere che ti ritrovi a farti guidare dall’olfatto, a farti rapire dal profumo di carne alla brace, dalla calda morbidezza delle pagnotte, dall’asprezza di un olio extravergine novello. E te ne stai lì a fare file chilometriche ai banchi gastronomia, a dire certo che ne valeva la pena a chi ti siede accanto, sgranocchiando nervetti e rosichini di bistecca, ungendo fette di pane di grano duro del succulento grasso delle salsicce, a sentire il poeta del paese decantare le virtù del panonto strimpellando una chitarra scordata che, ciononostante, non produce un accordo che stoni.

Ma ricordo con passione anche i sanguinacci del Paffuto, l'olio del Paffuto, i fichi dell'orto del Paffuto, col Paffuto - forse il più caro amico che ho - a farsi paladino della località, antesignano del chilometro zero, fermamente intenzionato a farmi assaggiare quel prosciutto che "è tutta n'altra cosa da quello nelle buste"...

Poi, col tempo, mi sarei fatto coinvolgere da stereotipati amburghi griffati m-gialla-su-sfondo-rosso.
Fin quando non arrivò Chiara. Lì fu fulminazione sulla via di Damasco.

Sarebbe bello se anche altri assaggiAutori volessero raccontare la propria, di education sentimentale gastronomica.
E magari lasciassero il link tra i commenti.
Chissà, magari ne uscirebbe una bella antologia.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Fabrizio, anche se questo post è tuo spero non ti offenda se questo commento è per Chiara. Di solito non inoltro mai i premi che girano in rete ma visto che questo m'è stato offerto da un cuoco ho pensato subitissimo di rigirarlo a Chiara che con la sua innovazione e continua ricerca mi stupisce sempre. Se apre un ristorante tutto suo sarò ben lieta di venire a provare personalmente i suoi esperimenti...
Perciò Chiara, sarei contenta se passassi da me e ritirassi il premio ;)

Paola

Anonimo ha detto...

E' stata Nanna che mi ha iniziato, fin da piccola, alla gioia per le cose buone. C'è anche una casa di campagna di mezzo, quella dove noi tre fratelli potevamo scorrazzare liberamente in mezzo a prati e boschi. Ci sono state anche le domeniche mattine di pioggia, in cui io guardavo Nanna tirare la pasta all'uovo ipnotizzata dai suoi gesti sapienti. A pranzo c'erano fettuccine al sugo di salsiccia e io pretendevo il piatto a "montarozzo" uguale identico a quello dei miei due fratelli più grandi. Nanna era la sorella maggiore di mia madre, che viveva con noi. Poi l'adolescenza penetra i tuoi silenzi e ti trascina per strade affollate dove non puoi far altro che seguire il mondo, perchè solo di quello hai bisogno.
E poi la virata, lenta e implacabile che ti guida alla conquista di nuove consapevolezze. E' qui che riprende a circolare nella mia vita l'amore rosso di questa passione di antiche radici. Perchè non si tratta solo di cibo e di cose buone, di gusto, di curiosità, di profumi, c'è molto, molto di più. Goodnight!

Fabrizio Gabrielli ha detto...

uau, Marilì.
M'è venuta voglia di farmi ipnotizzare dalle movenze sapienti di Nanna, per poi tuffarmi nei piatti "a montarozzo", un po' anche a me. E poi, come in un loop interminabile, perdere quella consapevolezza, e riacquisirla, e riperderla, e riacquisirla...
Fino ad addormentarmi con le carezze morbide di una Pachamama delle cose buone, madre di tutti i gusti, i ricordi, le sfuggevoli sensazioni...

Anonimo ha detto...

Già un interminabile loop, hai ragione, Fabrizio, perchè in fondo sono proprie le virate della nostra vita, a volte lente, quasi impercettibili, a volte vio-lente e destabilizzanti, che registriamo come pura dispersione, come implosione o come catartica evoluzione, be' sono proprio le virate che fanno bella la navigazione, per me.