Poggiato sullo stipite della porta socchiusa della cucina, il commendator Arsella, braccia conserte e sorriso imperscrutabile distrattamente poggiato fra il mento possente ed il naso rugoso, butta l’occhio stanco tra i commensali.
Il chinchigliare delle posate, lo scampanellio dei bicchieri cozzati nel brindisi hanno lasciato il posto a chiacchiere alticce, sguardi languidi ad attrici imbellettate, fumo blu di sigaretta che qualcuno, sprezzante, ha fatto brillare nella penombra della sala. I piatti, colmi di gusci di vongola e cozze che hanno fatto il loro corso, giacciono cadaverici impilati sul carrello di servizio, al lato della tavolata.
S’apre la porta, preannunciata dal tintinnare di un marino acchiappasogni. Tra le gambe scheletriche delle sedie riverse sui tavoli, la scena svanisce nebulosa.
“Siete chiusi?”, chiedi.
“No, no, venite” ti dice il commendator Arsella.
Sabato sera.
Voglia di spaghetti con le vongole veraci al fresco, aria frizzantina con reminescenze salmastre a stuzzicarti le narici.
Scelta del luogo giusto, sempre troppo difficile, nella città del pressapochismo ristorativo.
Riverberi di tramonto sulla facciata di Porta Livorno messa a nuovo. Marmoreo pallore su giochi di luce ocra e tinte pastello. Mura medievali incombenti, minacciose, imponenti. Moli svuotati da vorticosi turbinii mondani, spumeggio d’onde sulla china del traghetto che, al suono di sirene, abbandona il porto ad altri lidi diretto.
"Il Pappafico".
Proviamo, mai andati.
Maddai, è chiuso.
Di sabato? Di sabato.
Luci spente. Le sedie sopra i tavoli.
Proviamo? Proviamo.
“Sedetevi dove volete”, ti dice senza guardarti negli occhi il commendator Arsella.
Un ristorante vuoto di sabato sera t’induce a pensare. Balenano quattro o cinque riflessioni che volentieri faresti a meno di confessare all’oste di turno. A volte ti vien voglia di mollare, fuggire, correndo a perdifiato, per mano, sorridenti come in quel film di Godard (Bond a Part, del 1964).
Sulla parete, incorniciato da due stelle marine imbalsamate e sbiadite ed un drappeggio di reti da pesca consunte, una foto in bianco e nero immortala facce da celluloide anni ’70, quella Cinecittà da bere che risaliva il litorale tirrenico verso Nord, canticchiando “tutti al mare, tutti al mare…a mostrar le chiappe chiare”.
E dietro di loro un porto che stenti a riconoscere, l’attracco dei traghetti ancora lì, tra il Molo del Bicchiere ed il Forte, prima che ragioni di stato lo spostassero nell’anonimato di una banchina costantemente in-progress, avulsa, non-luogo destrutturato e destrutturante.
Protagonisti di film dalle colonne sonore fischiettate e Punt e Mes in ogni inquadratura.
(2 be continued nel week end)
2 commenti:
ma di che pappafico si dice?
della vela o
del locale a marine de pise?
vivamente ringratio per consilio sobre fagioli
mmm... nessuno dei due.
"Il Pappafico" è il nome del tutto immaginario di un ristorante storico di Civitavecchia.
Habemus laude que consilio sobre fagioli sia stato apprezzato..
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