venerdì, marzo 23, 2007

Miracolo (sic!) a Civitavecchia... da "Relitti"

(...) Mamma Bertozzi mette giù la cornetta e cala la pasta, mentre papà Bertozzi, come sempre col morale a terra, per risollevarsi lancia un disco sul piatto dello stereo, e sorride pacioso ai fruscii del trentatrè giri.

Si va a tavola.

“Civitavecchia, bella città d’incanto, che a tutti piace tanto, che a tutti piace tanto… c’è er pesce fresco e le regazze bellee… la gente assai de core, la gente assai de coreeee”, suonano le note incise sul vinile.

Papà Bertozzi, rubizzo in viso, sguazza pazzo di gioia tra un aneddoto ed un bicchiere di bianco, Jean ingurgita l’ennesimo polpo in guazzetto e ride divertito mentre la cuoca – ansia da prestazione – chiede incessantemente: “Allora, v’è piaciuto?”.
Una pila di stoviglie, pentole e padelle giace esangue nel lavabo. “Do ‘na botta ai piatti, mà?”, chiede Leandro. “No, no, ce penso io più tardi”, risponde lei. Ci tiene a specificare, “loro staranno pe arrivà”.

Loro.
Un brivido attraversa la schiena di Leandro, dal basso all’alto, si affaccia all’orecchio e sussurra: “Di’ un po’, te li ricordi chi so’, loro?”.
Se li ricorda eccome, Leandro, quegli immancabili pomeriggi. Tornava da scuola e le trovava sulla porta che si congedavano, loro, e mezz’ora dopo loro erano di nuovo là, ognuna al suo posto, salotto nazionalpopolare dove si poteva spettegolare liberamente.
Per non parlare dei baci. Ognuna pretendeva che la si baciasse e la si chiamasse zia. Tutti zii, a Civitavecchia. Di conseguenza, tutti cugini.
In quel Loro veniva compresa anche lei, che meritava honoris causa un pronome personale tutto per sé. Ne era convinto, Leandro, da sempre, da quando l’ammirava immergersi tra i flutti rilucenti, e lui, legato all’albero maestro per non impazzire, pensava: “sei bella come una sirena, Marina. Bella e pericolosa”.
(...) Leandro immagina per un attimo di essere un pescatore di ritorno in porto. È ancora buio pesto. La lampàra illumina lunghi capelli di donna. La issa sull’imbarcazione. Ha il viso di Marina, ma parla una lingua incomprensibile; una lunga coda blu, maestosa, rilucente d’argento si dimena nella carena. Sogna di abbracciarla avvolto in un’alba disegnata con colori a cera. Con le rondini stilizzate ed il sole che sorride. (...)

E se voleste abbandonarvi alla lettura per intero di tutte le short stories che compongono il mosaico corale di "Miracolo a Civitavecchia (proprio il giorno di Santa Fermina!)" featuring tre-ben-tre racconti del qui presente, potete farlo aquì.

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