sabato, dicembre 02, 2006

Mezza Patata (Prima parte)

A mia nonna, quando era bambina, una suora diceva sempre: “Una donna non è donna se non sa mettere da parte mezza patata”.

Se è un paradigma valido, mi chiedo allora che donna è, questa che ho di fronte, incapace anche di fare di necessità virtù.

Le ho appena detto che l’azienda chiude, ci mettono in mezzo a una strada, che siamo incazzati e che il futuro è in quel posto al call center, il tempio dei precari. Perché questa – lo dicono le statistiche ma ce ne siamo accorti anche senza Del Debbio – è l’epoca dei precari, e per un bizzoso scherzo del destino e dell’enigmistica, per giunta, dei prezzi iper-cari.

Lei, mentre le parlavo, si appassionava al gioco dei mezzibusti milionari e vaneggiava sui regali di Natale, sul ponte dell’Immacolata, su spropositate congetture di viaggi ed irrealizzabili itinerari.

Ora la osservo sconsolata gettare nella pattumiera spaghetti avanzati ed incollati alla pentola, bistecche fredde e rigide come cadaveri, rosette intere. Queste due fette di prosciutto le mangi?, mi chiede. No, non le mangio. Ho lo stomaco chiuso.

Allora le butta.

Butta tutto, lei. Anche i miei discorsi, che puzzano come la faraona lasciata in frigorifero per una settimana.

Ci appiccichiamo alla televisione in un trionfo dello stereotipo, annoiato io, avvinta lei. Lontani, rigorosamente. Scivoliamo mollemente nella melensa appiccicosità di una serata xerox-style, uguale a tutte le altre, manco fossero ciclostilate. Vissuta una, vissute tutte.

Una volta era diversa, lei.

Curiosava.

Insieme bevevamo blu curaçao, sgranocchiavamo pane carasau, guardavamo i film di Akira Kurosawa.

“Cara, sai…” le ho detto una volta, e lei s’è girata e m’ha fulminato con quei suoi occhi nei quali pensavo d’aver trovato le risposte di cui avevo bisogno. Avrei voluto aggiungere “…sarà per sempre”, ma ho resistito.

Quella donna, per essere la mia donna, doveva passare la prova della mezza patata.

(continua...)

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