giovedì, giugno 04, 2009

Pinocchio e la memoria liquida


[ancora un po' di pazienza per il grande ritorno delle ricette di Chiara. Giuro. Nel frattampo, per ingannare l'attesa, un contributo "non-monolocalesco". Capita che al citofono suoni Andrea Giannasi, giornalista, storico, editore di Prospettiva e - mi piace pensare così - slow gourmand da quando ha preso a pubblicare gente che ha a che fare con pesci rossi ed inafferrabili weltanschauung. Il quale, brillantemente, sciorina divertissement gastrofanatici. Tipo quello che segue, tra Pinocchio, memoria liquida e madelaines garfagnine]
a
Entrati nell'osteria, si posero tutti e tre a tavola: ma nessuno di loro aveva appetito.
Il povero Gatto, sentendosi gravemente indisposto di stomaco, non poté mangiare altro che trentacinque triglie con salsa di pomodoro e quattro porzioni di trippa alla parmigiana: e perché la trippa non gli pareva condita abbastanza, si rifece tre volte a chiedere il burro e il formaggio grattato!
La Volpe avrebbe spilluzzicato volentieri qualche cosa anche lei: ma siccome il medico le aveva ordinato una grandissima dieta, così dové contentarsi di una semplice lepre dolce e forte con un leggerissimo contorno di pollastre ingrassate e di galletti di primo canto.
Dopo la lepre si fece portare per tornagusto un cibreino di pernici, di starne, di conigli, di ranocchi, di lucertole e d'uva paradisa; e poi non volle altro. Aveva tanta nausea per il cibo, diceva lei, che non poteva accostarsi nulla alla bocca.
Quello che mangiò meno di tutti fu Pinocchio. Chiese uno spicchio di noce e un cantuccino di pane, e lasciò nel piatto ogni cosa. Il povero figliuolo col pensiero sempre fisso al Campo dei miracoli, aveva preso un'indigestione anticipata di monete d'oro
.”

Capitolo tredici di un romanzo buono per ogni età.
Talmente buono che ogni volta che si rilegge – invito tutti a farlo almeno ogni tre anni – ci troviamo davanti un Pinocchio differente.
Questo perchè quel bischero cresce con noi. Strano a dirsi ma è proprio così.
Ma non di questo volevo parlare. […].
Entriamo nella questione. Il gusto non è solo sensazione piacevole del palato, ma trascina con sé una memoria liquida che corre dentro ognuno di noi.
Non è insolito, quindi, quando incontriamo vecchi sapori, legarli indissolubilmente a ricordi passati. E così vecchi volti tornano ad affollare la nostra testa e una sorta di corto circuito ci frena e disarticola. Tutto questo accade quando le nostre papille trovano un castagnaccio cotto nel forno a legna che ci ricorda proprio quello della sorella della nonna, che se ne stava lassù a Sassorosso.
Oppure quel vino aspro, il crinton, che non ci fa scordare la raccolta delle patate sotto il sole e la fatica della carriola che va e viene per portarle di corsa al buio della fresca cantina.
E ancora la ricotta con i necci, matrimonio natalizio che non rischia fallimenti.
Solenni le zuppe di farro con l’olio che pizzica e la mondiola e il lardo. Non possiamo neppure dimenticare i primi scherzi a scuola con il bazzone o il biroldo a ricordare qualche disegno fisionomico o il più bischero della classe. Dunque come il “galletto di primo canto” ci ricorda, la cena di Pinocchio, altri piatti o sapori ci rammentano altri momenti.
Ma c’è un problema.
Non è così semplice attivare le memoria liquida. E conservarla non è sufficiente.
Va custodita con cura e pazienza, perché non sempre emerge. Anzi rischia di finire diritta in una stanza talmente remota, da dimenticarne perfino l’esistenza.
Perdere questo bagaglio significa lasciarsi per strada la nostra storia.
[…]
Quindi meglio l’abbuffata del gatto e della volpe, o piuttosto correre su e giù?
Lorenzini detto il Collodi ci insegna che alla fine non ci sono dottori o nausee che tengono.
La buona cucina non ha confini e la memoria è estesa proprio come un grande mare.
Un mare liquido e ficcato dentro ognuno di noi.
a
Andrea Giannasi

1 commento:

Anonimo ha detto...

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